Endometriosi e gaslighting
Nemmeno l’ambito medico è immune al fenomeno del gaslighting: come riconoscerlo e neutralizzarlo.
Quante volte vi sarà successo che all’uscita di una visita specialistica senza una diagnosi vi siate sentit* svuotat*, confus*, amareggiat*, sol*, incompres*, non credut*. Ecco, potreste essere stat* vittime di GASLIGHTING.
Il termine deriva dall’inglese “gaslight” (luce a gas) e ha acquisito una connotazione specifica in seguito al film del 1944 “Gaslight” (conosciuto in Italia con il titolo “Angoscia”), per la regia di George Curok e interpretato da attori e attrici di un certo calibro, quali: Ingrid Bergman e Joseph Cotten e una Angela Lansbury in erba. Il film è ambientato nei primi del Novecento, quando, appunto le luci nelle case erano a gas, e segue le vicende di una coppia di sposini trasferitisi nella grande casa ereditata dalla moglie. Ad un certo punto della narrazione vediamo che qualcosa non quadra. Il marito inganna la moglie, facendole credere di essere sbadata, confusa, instabile. Qui entrano in giochi sottili strumenti di manipolazione come l’abbassamento delle luci a gas dal quadro centrale della casa, per dare alla donna un senso di chiusura e vertigine. Lei non si sente più sicura delle proprie percezioni sensoriali e mentali, non si sente adeguata e il suo stato di confusione, provocato dalla manipolazione del marito, è finalizzato ad uno scopo economico. Il marito vuole far internare la moglie, facendola risultare pazza, per poter usufruire in toto dell’eredità.
Il Gaslighting può trovarsi ovunque, in famiglia, nella coppia, al lavoro e, ahimè, nello studio medico. Lo scopo del Gaslighting è l’esercizio del potere (a volte mosso da ragioni economiche o in generale a proprio beneficio) tramite la manipolazione della realtà, minimizzando preoccupazioni, pensieri o sintomi e svalutando una persona che si trova in una posizione di inferiorità intellettuale, economica, psichica o emotiva.
Quando andiamo a fare una visita, che paghiamo molto, per il cui appuntamento abbiamo aspettato mesi (a volte un anno), spesso entrano in gioco sentimenti di aspettativa, pronazione e stress. Sappiamo che ci stiamo giocando tutto in una quarantina di minuti (se ci va bene): il/la specialista deve ricevere tutte le informazioni, ma non dobbiamo essere saccent*, ma nemmeno troppo incert*. Può venire il dubbio se lasciarlo/a parlare e farlo/a brillare della sua luce, magari fargli qualche complimento, proprio a causa di un senso di inferiorità e dovuto ad un disperato tentativo di avere la sua attenzione e il suo aiuto. Allo stesso tempo dobbiamo ricordare eventi traumatici come il dolore, gli esami invasivi, le diagnosi sbagliate che hanno segnato la nostra emotività, cercando di essere obbiettiv* e distaccat*. Insomma siamo spesso in una posizione di svantaggio, paura, tensione e FRAGILITÀ.
Non solo, la nostra società ci ha insegnato a rispettare e, a volte, quasi deificare la figura medica, la quale, per anni è stata su un piedistallo, irraggiungibile e impossibile da contraddire. Il/la paziente doveva affidarsi alla cieca e smettere di preoccuparsi. È sicuramente una soluzione che aiuta a decomprimere lo stress, ma quando ci occupiamo di malattie come l’endometriosi le cose cambiano.
Perché per l’endometriosi la cosa è diversa? Perché l’endometriosi ha un ritardo diagnostico stimato attorno ai 7 anni (io ci ho messo 16 anni per avere una diagnosi). Se l’endometriosi viene esclusa a priori nella ricerca delle cause del dolore può accadere che anche una risonanza o un’ecografia non porti a risultati evidenti. Infatti negli esami operatore-dipendente, il/la radiolog* deve avere una formazione adeguata per poter riconoscere l’endometriosi, ossia deve sapere COSA sta cercando e quindi necessita di un’indicazione da parte dell* specialista. È risaputo che l’endometriosi non sia ancora ben conosciuta da ogni medic*, ma credo che una buona dose di colpa per il ritardo diagnostico sia da imputare al fatto che medici e mediche non ci ascoltino e, nella fattispecie, non ascoltino il dolore femminile, minimizzandolo e sottovalutandolo. L’anamnesi, insegnata nelle scuole di medicina, è fatta di ascolto dei sintomi, ma se medici e mediche a priori pensano che la donna “tende a drammatizzare e a non sopportare il dolore”, le parole della paziente non avranno valore.
Qualche volta può accadere che venga consigliato di andare da uno psichiatra, succede spesso che si venga tacciat* di isteria, o di cercare attenzioni, o di celare pigrizia dietro ad un sintomo. A volte viene chiesto se si sia stat* vittima di abusi sessuali o se ci sia un malcelato desiderio di maternità. A volte ci viene consigliato di cambiare stile di vita, di fare yoga, di cambiare l’alimentazione perché, basta guardarci, siamo in sovrappeso o troppo magr*, di non pensare troppo al dolore, magari di farci una vacanza per decomprimere lo stress, di dedicarci di più alle proprie passioni o di fare di più l’amore (giuro, mi è stato detto!).
Il dolore se non viene considerato reale, cioè derivante da cause patologiche, viene svalutato. Il professionista non ammette di non conoscere l’endometriosi, preferendo far ricadere le cause del malessere, e quindi la responsabilità, sul* paziente. Questa è una forma di manipolazione che rientra nel Gaslighting. Sì, perché dire che è un problema psicologico, o legato al proprio stile di vita, implica che la causa del nostro dolore sia insita nel nostro modo di vivere, percepire, accogliere le nostre esperienze. Il/La professionista così si libera da ogni responsabilità, generando confusione e frustrazione nel* paziente.
Essere vittima di questa manipolazione è deleterio per chi è già fragile in quanto dolorante e preoccupat* e può ripercuotersi anche in ambito familiare e sociale. Non avvalorata da una diagnosi, la sofferenza del* malat* di endometriosi può essere mal interpretata, nella coppia, al lavoro, tra gli amici.
La dottoressa Theresa J. Covert (psicologa e autrice del libro: Gaslighting: The Narcissist’s Favourite Tool Of Manipulation — How to avoid the Gaslight Effect and Recovery from Emotional and Narcissistic Abuse. GD PUBLISHING LTD, 2020) dice che il Gaslighting, se reiterato, può portare alla “disconnessione della vittima da sé stessa (anche definita dissonanza cognitiva) dalle proprie emozioni e dalla propria abilità di decidere per sé e sapere cosa vuole”, “il manipolatore fa affermazioni contraddittorie e alla vittima è preclusa la verità”.
I consigli della dottoressa Theresa J. Covert sono:
· prima di tutto il fatto di prendere coscienza di questo meccanismo,
· credere nelle proprie intuizioni (in particolare credere che se si ha dolore, qualcosa evidentemente non va),
· conoscere i propri diritti fondamentali (nella fattispecie, il diritto alla salute),
· eliminare il senso di colpa (che spesso attanaglia chi ha endometriosi, che si sente un peso per gli altri dato che il proprio dolore, se non avvalorato da una figura medica, diventa lamentela o il senso di colpa, che ho sperimentato personalmente, è quando mi è stato fatto notare che, non avendo niente, o comunque niente di grave, stavo rubando il posto a chi combatte con malattie “serie”),
· mantenere un certo distacco (i/le medic* sono professionist* che noi paghiamo e da cui pretendiamo un buon servizio).
Come dice il Dottor Andrea Vidali: “If you really listen to someone, the silent endometriosis was never really that silent”, se ascolti davvero una persona [il/la paziente], l’endometriosi silente non è mai stata realmente così silenziosa.